L’utilizzo di telecamere nascoste ai fini del c.d. giornalismo di inchiesta.
Il difficile bilanciamento caso per caso fra diritto di cronaca e privacy. L’utilizzo delle telecamere nascoste.
Il giornalista, nell’esercizio della sua professione, non può celare la propria identità. Deve in primo luogo rispettare le “Regole deontologiche relative al trattamento di dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica” pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale del 4 gennaio 2019.
Rispettarle però comporta una competenza non banale. Serve una equilibrata valutazione caso per caso e a volte, soprattutto nel giornalismo di inchiesta, è ammesso utilizzare le telecamere nascoste.
A prevederlo sono le stesse le regole deontologiche che, all’articolo 2, stabiliscono che:
“Il giornalista che raccoglie notizie rende note la propria identità, la propria professione e le finalità della raccolta salvo che ciò comporti rischi per la sua incolumità o renda altrimenti impossibile l’esercizio della funzione informativa; evita artifici e pressioni indebite”.
Telecamere in vista e telecamere nascoste
Il giornalista dovrà in primo luogo valutare l’utilizzo di telecamere ben evidenti manifestando in modo palese la propria attività. Ciò permetterà, in alcune circostanze, di rendere possibile la manifestazione di un diniego al trattamento delle proprie immagini. È questo il caso di quanti, ripresi in circostanze occasionali (es. il passante al quale viene richiesto un commento), chiedono di non apparire mediante manifestazioni inequivocabili (es. coprendosi il volto, chiedendo di non apparire etc)
L’utilizzo delle telecamere ben in vista sarà un facilitatore dell’attività stessa del giornalista. Una sorta di tesserino di riconoscimento, essenziale ai fini dell’esercizio del diritto di informazione.
Nelle regole deontologiche è stato però aggiunto l’inciso “salvo che ciò comporti rischi per la sua incolumità o renda altrimenti impossibile l’esercizio della funzione informativa”.
I requisiti per utilizzare telecamere nascoste sono pertanto la presenza di rischi o l’impossibilità dell’esercizio del diritto di informazione.
Siamo quasi sempre nell’ambito del giornalismo investigativo o giornalismo di inchiesta ovvero un’attività che richiede un lavoro di investigazione finalizzato alla divulgazione dell’informazione.
Un lavoro impegnativo, difficile, spesso in prima linea e fra mille difficolta e rischi per il solo fine di dare concreta attuazione ai diritti costituzionali (es. il diritto di cronaca) e all’articolo 1 del Testo unico dei doveri del Giornalista: “Libertà d’informazione e di critica”.
La presenza di rischi
La prima ipotesi di ammissibilità delle telecamere nascoste è la presenza di rischi.
Vi sono circostanze in cui l’attività giornalistica, se resa palese, potrebbe comportare dei rischi. Sono i casi in cui l’utilizzo di una telecamera visibile metterebbe a rischio l’incolumità stessa del giornalista. Per esempio: un giornalista che si presenta con una telecamera visibile, in una piazza di spaccio affollata o in una zona di ritrovo di delinquenti abituali, per documentarne i reati, rischierebbe di essere aggredito e nei casi estremi rischierebbe anche la vita.
Altrimenti impossibile
La seconda ipotesi è che sia reso “altrimenti impossibile l’esercizio della funzione informativa”.
Vi sono dei casi in cui l’utilizzo di una telecamera visibile renderebbe impossibile l’esercizio della funzione informativa ovvero comprometterebbe l’esercizio stesso del diritto di cronaca.
Per esempio: la presenza di una telecamera ben in vista in un luogo in cui avviene il reato (es. pagamento di una “mazzetta”) renderebbe impossibile documentarne gli eventi in quanto i soggetti, alla vista della telecamera, ometterebbero le condotte.
Caso per caso
Ad ogni modo questa seconda circostanza, ovvero che sia reso “altrimenti impossibile l’esercizio della funzione informativa” è ovviamente la più complessa da dimostrare. Anche il Garante, in numerosi provvedimenti (n. 508 del 30 dicembre 2011, n. 364 del 10 luglio 2014 e n.241 del 26 novembre 2020) ha chiarito che “la sussistenza di tale presupposto deve essere valutata caso per caso, verificando se i dati personali e le modalità della loro raccolta e diffusione siano proporzionati e realmente giustificati rispetto allo scopo informativo altrimenti non conseguibile”.
Serve cioè porre su una bilancia la notizia che si vuole rendere, la modalità di raccolta e la divulgazione dei dati.
Nel giornalismo di inchiesta è molto spesso necessario utilizzare telecamere nascoste, il fattore dirimente è dunque la modalità con la quale il giornalista esercita la sua attività ed il rispetto anche della seconda parte dell’art 2 delle regole deontologiche: il giornalista “evita artifici e pressioni indebite” per ottenere notizie ed informazioni.
Come garantire l’anonimato
Inoltre, è fondamentale ciò che si decide di mandare in onda, di trasmettere in chiaro, e ciò che invece non deve essere riconoscibile. Le tecniche richiamate dal Garante quali modalità per garantire l’anonimato delle persone sono ad esempio:
l’oscuramento del volto (in gergo “blerare” dall’inglese blear);
il mascheramento della voce;
l’utilizzo di inquadrature non focalizzate sulla persona e sul suo ambiente di lavoro;
le inquadrature limitate;
l’omissione di riferimenti personali specifici (es. anagrafica, residenza, parentele, luoghi etc).
Tecniche queste in realtà non sempre utilizzabili soprattutto quando le immagini utilizzabili per il montaggio sono poche o quando garantire una totale privacy, o garantire la reputazione di terzi estranei, significa mascherare la voce, oscurare i volti, i luoghi ed ogni altro contorno che potrebbe rendere indirettamente riconoscibile il singolo. Oscurare tutto potrebbe significare rendere inutile documentare la notizia con immagini e porre in discussione l’utilità stessa dell’inchiesta e del video a supporto della notizia.
Inoltre, vi sono alcune informazioni sulle quali vige un interesse pubblico a conoscere, vi sono dei casi nei quali l’autorità Garante Privacy ha ritenuto ammissibile la trasmissione in chiaro.
L’ Autorità ha del resto più volte precisato che la pubblicazione dei dati identificativi delle persone a carico delle quali vi è un procedimento penale in corso “non è preclusa dall’ordinamento vigente e va inquadrata nell’ambito delle garanzie volte ad assicurare trasparenza e controllo da parte dei cittadini sull’attività di giustizia”.
Vi sono poi eventi e dati la cui conoscibilità è di interesse pubblico e garantisce una tutela sociale e che necessita di adeguate valutazioni.
Si pensi al finto medico che esercita sotto falso nome abusivamente la professione, blerare il volto del soggetto ripreso con una telecamera nascosta significherebbe precludere al pubblico l’identificazione dello stesso e non potersi tutelare adeguatamente.
Vi sono poi i casi in cui il giornalista è chiamato a decidere se utilizzare o meno registrazioni lecitamente effettuate di nascosto da privati, per una reale esigenza di tutela di un diritto in sede giudiziaria, con lo specifico intento di far valere le proprie ragioni in giudizio e nella prospettiva di tutela giurisdizionale di un diritto.
In sintesi
Il tema in realtà è molto più complesso di quello che si può immaginare in quanto la telecamera nascosta di per sé non rappresenta una violazione della privacy se, parimenti, permane l’interesse pubblico, se non sussistono impedimenti di carattere giudiziario e/o viene salvaguardata la privacy mediante altre modalità ma le circostanze ed i presupposti devono essere valutati caso per caso. Ci sono pezzi di vita e di cronaca che devono essere documentati e spesso scegliere cosa mandare in onda e cosa no comporta scegliere fra diversi livelli di tutela sociale.