La privacy nel Vangelo c’è, ecco le prove
È un raffronto anomalo, un azzardo forse discutibile, ma qualcuno doveva pur farlo. La privacy nel vangelo è presente
Nell’Antico Testamento forse non è presente ma la privacy nel Vangelo c’è.
In principio fu Caino. “Dov’è tuo fratello?” gli chiese il Signore. “Non so” rispose “Sono forse io il custode di mio fratello?”. Una specie di “per privacy non posso rispondere”.
Tutto dunque ebbe inizio da lui ma sappiamo bene che la sua era una scusa per nascondersi da un omicidio, il primo della storia. Di lecito c’era ben poco.
La prima vera testimone biblica, “La testimone” per antonomasia, è stata la Madonna con il suo ingresso nel Nuovo Testamento. Maria era una donna profondamente riservata. La privacy, quella seria, entra in scena con la sua figura.
La prima circostanza è la notte di Natale: di contro al fermento dei pastori che dopo aver visto Gesù “riferirono ciò che del bambino era stato detto loro”, suscitando stupore in quelli che li ascoltavano, vi è l’atteggiamento della Madonna: “Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19).
Lo stesso atteggiamento viene descritto con termini simili sempre dall’evangelista Luca dopo il ritrovamento di Gesù nel tempio: “Gesù scese dunque con loro e venne a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore» (Lc 2,51).
Il suo è dunque un atteggiamento, uno stile riservato. Lei protegge i dati, pone al sicuro le informazioni che custodisce con misure di sicurezza fuori del comune.
Ma se in Maria troviamo la testimone, in Gesù ritroviamo i principi essenziali, lo stile da assumere per rendere compliance il nostro vivere quotidiano.
«Se tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo”. (Mt 18,15)
La Sua però è una privacy by default, tant’è vero che lui stesso parla per parabole, omettendo nomi e cognomi e forse parzialmente modificando il contesto per rendere irriconoscibili gli interessati.
Tratta solo dati essenziali e nella misura necessaria a centrare l’obbiettivo: l’annuncio del messaggio evangelico.
Il principio della minimizzazione dei dati
Il vangelo ed il messaggio cristiano sono pervasi da continui richiami a parlare poco, evitare di parlare a vanvera.
Un credente infatti nel messaggio evangelico non gioca con le parole, non è superfluo. Il parlare deve essere molto chiaro e diretto, senza fronzoli: “Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno” (Mt 5,37).
Questo il versetto di Matteo che fra i quattro evangelisti, potremmo affermare è l’evangelista privacy.
Di lui è ancora un altro versetto: “Io vi dico che di ogni parola oziosa che avranno detta, gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio; poiché in base alle tue parole sarai giustificato, e in base alle tue parole sarai condannato”. (Mt 12:36-37).
Le parole se da una parte sono strumento di “verità” dall’altra devono essere centellinate, utilizzate per dire l’indispensabile, il minimo. È il principio della “minimizzazione dei dati” perché ogni parola, nel nostro caso ogni dato superfluo, può generare conseguenze sui diritti e le libertà degli interessati. Le informazioni invece, nel vangelo sono ridotte ed essenziali.
Le opinioni religiose
Vi sono poi le opinioni religiose ed il proprio credo. Sono dati particolari, pertanto “quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto”.
Le misure di sicurezza devono essere adeguate, chiudi la porta, custodisci nel segreto i tuoi dati particolari affinché gli stessi non siano usati impropriamente.
Gli antagonisti della Privacy
La privacy nel vangelo c’è ma nello spirito cristiano gli antagonisti della privacy sono il principio della “verità” e la missione della “testimonianza” del messaggio.
Vi sono cioè delle circostanze nelle quali non bisogna tacere, è necessario rendere testimonianza della verità: “Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato”. (Atti 4,20)
Operare da cristiano significa non vergognarsi della propria fede e rendere testimonianza dei principi e dei valori cristiani se necessario anche denunciando. La denuncia, fare nomi e cognomi, rappresenta anzi un obbligo etico e morale.
Essere uomini di privacy allora potrebbe apparire difficile davanti ad un obbligo morale di divulgare dati senza consenso. In realtà sappiamo bene che la base giuridica di un trattamento può essere la legge pertanto il problema c’è solo quando la morale non corrisponde con la legge; difficile ma non impossibile.
In sintesi, parafrasando Alda Merini, potremmo dire che il trattamento può essere effettuato ottenendo le medesime finalità ma limitando le informazioni da raccogliere, “Scegli con cura le parole da non dire” e i dati da raccogliere, una bella sfida per “data protection peolple”.
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